Un Caporale a suon di musica
- Maurizio Carucci
- 20 nov 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 9 feb

Fulvio Caporale, il professore. Ma non solo. È stato ufficiale di complemento, maestro, docente di italiano e latino, poeta, scrittore, antiquario, concorrente a un quiz condotto da Mike Bongiorno, candidato al Senato. E soprattutto musicista.
Perché si definisce uno “zingaro”?
Sono nato a Trivigno, in provincia di Potenza, nel 1940. Ho insegnato per dieci anni alle elementari a Escalaplano, in Sardegna. E poi nei licei di Roccadaspide e Battipaglia nel Salernitano. Attualmente vivo a Campagnano, vicino a Roma. Ho lasciato l’insegnamento all’età di 44 anni per dedicarmi alla letteratura e alla musica. Ho pubblicato 25 libri tra poesie, racconti, saggi e romanzi.
Ma la sua vera passione è la musica…
È vero. Ho imparato a suonare la chitarra e il pianoforte da autodidatta. A 18 anni ho sostenuto l’esame alla Siae. Con me c’era Fred Bongusto. Ho scritto canzoni in collaborazione con tantissimi grandi artisti: Austin Forte, Roberto Murolo, Renato Recca e Nicola Arigliano. Ho dato vita a due edizioni del “Festival per artisti di piano-bar” a Trivigno. Ho creato diverse formazioni di polifonia vocale, tra le altre “I Di Giacomo” e le “Risonanze virtuali”. Sono stato allievo del musicista Ugo Calise. Ho diretto per una decina di anni il Coro Polifonico “Trivigno e le due Sicilie” che si è esibito in Basilicata e fuori regione (Napoli, Assisi, Padova, Parma…) riscuotendo ovunque grande successo. Ho partecipato a diverse manifestazioni artistiche di rilievo.
Quale ricorda con più piacere?
Il Festival di Sanremo del 1994 condotto da Pippo Baudo e il premio della critica ricevuto con la mia canzone: “I giardini d’Alhambra” cantata dai miei figli, I Baraonna.
Due matrimoni e sei figli, la musica è sempre stata di casa…
Di sicuro vedere i miei figli seguire le mie orme mi ha donato una gioia immensa e continuano a darmi soddisfazioni fin da quando hanno cantato a Sanremo. In Italia I Baraonna sono stati tenuti a battesimo dal Quartetto Cetra. Hanno collaborato con grandi artisti: Claudio Baglioni, Renato Zero, Riccardo Cocciante, Renzo Arbore, Renato Carosone, Pino Daniele, Mango, Mario Lavezzi. Poi hanno seguito strade diverse. Serena è una corista di Baglioni. Rosella è docente di musica. Con la mia canzone “Luna saracena” ha cantato a una manifestazione a Washington. In rappresentanza degli Stati Uniti è intervenuta Cheril Porter. Angela è stata una corista di Mango e insegna musica. Vito ha una sua scuola ed è un apprezzato musicista jazz. Delio insegna musica. Fulvia studia canto e recitazione.
Da dove nasce questa passione per le sette note?
Da bambino seguivo mio padre, fondatore della banda musicale di Trivigno negli anni ’30. Non perdevo nessuna esibizione: erano per me appuntamenti tanto attesi. Crescendo ho continuato a coltivare questa passione che ho poi trasmesso ai miei figli. Le prime canzoni mi divertivo a farle con complessi giovanili. Il mio primo successo è stato “Coccio di vetro”, cantato da Bruno Venturini negli anni ’60.
Come mai un libro sulla canzone napoletana?
Parto da una data: 1839. È questo l’anno di nascita della Canzone napoletana, anche se molti storici ritengono che già nel XIII secolo vi fossero forme “spontanee”, per così dire, di canzoni tra la popolazione napoletana. A ogni modo è nel 1839 che nasce quella che è una vera e propria poesia musicata: “Te voglio bene assaie”. La canzone napoletana unisce il dolore unito alla voglia di vivere, all’allegria data dal sole e dal mare. Un esempio su tutti è la canzone ‘Simme e’ Napule paisà’. Dopo il bombardamento della città di Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale e conseguenti strade distrutte e tram che non potevano andare in giro, una coppia di innamorati decide comunque di andare in giro per la città stretti stretti a bordo di una carrozza. La carrozzella è guidata da un cocchiere e passa vicino a quella che era la sua casa distrutta dai bombardamenti. Il cocchiere piange per la sua perdita (“son rimasto surtant’io” come dice la canzone), ma nonostante tutto si volta e va avanti, perché questo è il vero spirito dei napoletani. Alla fin fine vivere sotto quel vulcano ha fatto sì che nel tempo e nelle canzoni vengano unite la gioia, la paura e la sfrontatezza di vivere.
Anche la tv l’ha resa famosa…
Nel 1977 partecipai alla trasmissione televisiva “Scommettiamo”, condotta da Mike Bongiorno. Finalista, non sbagliai una sola domanda sui pittori impressionisti francesi. Vinsi 13 gettoni d’oro corrispondenti, all’epoca, al valore di tre milioni e mezzo di lire.
Inoltre è appassionato di fumetti…
Sono collezionista di fumetti. E sono socio onorario benemerito del Centro Internazionale del Fumetto di Cagliari, a cui ho donato importanti materiali.
Quali sono i prossimi progetti?
Sto scrivendo un libro sui miti. E poi ho raccolto centinaia di spartiti originali. Vorrei donarli per creare un museo.
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