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Dazi, una sfida da analizzare

Aggiornamento: 2 ott

Dazi, scenari futuri, contromosse da parte delle piccole e medie imprese italiane. Ne abbiamo parlato con Luigi Pastorelli, ceo del Gruppo Schult'z, che si occupa di valutazione e analisi dei rischi.

 

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Luigi Pastorelli, ceo del Gruppo Schult'z


Quale sarà l’impatto sull’attuale accordo definito di “dazio reciproco“ del 15%  sulle merci esportate negli Stati Uniti?

Usando il nostro modello abbiamo considerato i seguenti fattori di criticità: contrazione del Pil dello 0,3% per la Germania, dello 0,1% per la Francia e dello 0,2% per l’Italia. Per il nostro Paese si prevede una perdita di export di almeno 35 miliardi di euro. A ciò occorre aggiungere che la svalutazione del dollaro Usa rispetto all’euro nella misura del 13% renderà ancora più oneroso esportare i prodotti europei nel mercato statunitense. Tutto questo per l’Unione Europea determinerà un calo dell’ export del 25-30% con una perdita complessiva di oltre 66 miliardi di euro.

 

Questo scenario cosa determinerà per le nostre pmi?

Questa è una guerra finanziaria avviata dalla presidenza Usa per ottenere risorse economiche: i dati evidenziano che negli Usa le entrate fiscali passeranno dai sette ai 91 miliardi di dollari. Oltre che incentivare il posizionamento sul proprio territorio delle imprese che sono interessate al mercato Usa, col fine dichiarato di proteggere il proprio processo produttivo per ragioni di sicurezza nazionale. Non si esce da questa guerra con il porre da parte dell’Ue e dei singoli Stati dei dazi sulle merci importate dagli Usa. Questo è un caso di scuola in teoria del rischio, definibile come una situazione a “somma zero“, in cui non si arriva all’obiettivo. E l’unica certezza è quella di soccombere dal punto di vista economico e occupazionale, rispetto a un avversario che ha condizioni competitive più vantaggiose. E gli Usa sono in questa posizione rispetto all’Ue o ai singoli Paesi.

 

Quali ricadute sull’occupazione?

La perdita di almeno 400mila posti di lavoro nel prossimo triennio nei settori maggiormente colpiti dagli attuali dazi e da quelli annunciati: lavorazione materie plastiche/gomma, agroalimentare, farmaceutico, meccanica, fashion & luxury, elettronica. Inoltre il fallimento o chiusura per l’impossibilità di restare sul mercato del 3% delle nostre pmi. Un aumento delle sofferenze bancarie nella misura del 15%.

 

Come affrontare questa situazione?

Il nostro modello indica come fattori decrescenti, ovvero come possibili soluzioni, l’adozione di queste misure: apertura di nuovi mercati, ovvero una maggiore internazionalizzazione del nostro sistema pmi, una significativa riduzione dei propri costi produttivi, l’adozione di una nuova organizzazione del lavoro.

 

Ma può avvenire in tempi brevi l’adozione di queste misure?

Questa è la questione centrale, posta da ogni crisi, la quale ha inviato dei segnali che il nostro decisore non ha colto, non ha considerato, ovvero che fosse ben chiaro l’intendimento economico del presidente Trump. Il problema è stato la farraginosità dei tempi di risposta delle nostre organizzazioni economiche. Adesso è importante agire, perché lo scenario che si prospetta per le nostre imprese è di un default produttivo, con una ricaduta assai negativa dal punto di vista occupazionale, che non potrà essere supportata dal nostro welfare, che è già in sofferenza per il calo demografico, l’aumento delle necessità sanitarie di una popolazione sempre più anziana e caratterizzata da elevata morbilità sanitaria. Il beneficio individuato dal nostro modello dà i seguenti risultati: avviare una maggiore internazionalizzazione del nostro sistema pmi incide per il 60%, effettuare la riduzione dei propri costi produttivi per il 30%, introdurre una nuova organizzazione del lavoro per il 10%.


Cosa dovrebbe fare nell’immediato il nostro governo?

Occorre sostenere le pmi e farle crescere come dimensioni spingendole alla fusione in ambito dei distretti produttivi, in sinergia con le Università per avere il trasferimento di competenze e di know-how. Incentivare l’adozione prevalentemente della forma di società giuridica, adottando una governance manageriale. Costringere il sistema bancario a svolgere effettivamente una attività di finanziamento del processo di internazionalizzazione delle pmi.

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