TRUMP E DAZI UE: Cosa dice la lettera e perché è una cosa seria.
- Ida Paradiso
- 14 ore fa
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Le minacce di Trump sull’imposizione di DAZI all’universo mondo fanno ormai parte, da alcuni mesi, dei titoli che leggiamo ogni mattina nelle news.
Un rutilante alternarsi di annunci su Paesi nemici (che tornano amici nel volgere di una giornata) e percentuali talmente alte da poterci giocare i numeri al Lotto, a cui, ormai, fatalmente, abbiamo cominciato ad abituarci. E, come sempre succede quando c’è qualcuno che grida “al lupo al lupo”, ci eravamo quasi convinti che il lupo non ci fosse (che “can che abbaia non morde”), o almeno non con l’Europa. Invece eccoci qua. I nodi sono venuti al pettine e non c’è buca che tenga: in qualche modo dovremo tirar fuori la testa dalla sabbia.
E siccome, in tempi di disinformazione, è meglio non fidarsi di nessuno, meglio andare alla fonte della notizia, leggendo direttamente la lettera che Trump ha inviato alla Presidente UE Ursula Von Der Leyen, analizzando cosa contiene e quali sono gli scopi e le modalità di comunicazione.
Il testo integrale e la traduzione italiana la trovate qui su La Repubblica
C’è posta per te
La gentile letterina di Trump, indirizzata all’UE sabato scorso 12 luglio, ha cominciato ad imprimere una certa accelerazione alla questione DAZI. Sembra, davvero stavolta, che ci dovremo cominciare a preoccupare seriamente. Non c’è bisogno di ricordare che gli USA sono da sempre uno dei principali mercati esteri (ed un partner commerciale di enorme rilievo) per l’Italia. In più, Trump ha dimostrato, fino ad ora, di non dare alcun peso alle conseguenze delle proprie politiche protezionistiche sulle imprese americane. Sicuramente, anche questa volta, come in altre occasioni, Trump ha definito margini di negoziazione, ma ciò che è già successo con altri Paesi, ci dice che Il rischio è reale. Dal 1° agosto (o da un’altra data in ogni caso) il terremoto, così a lungo previsto, alla fine ci sarà, con conseguenze solo in parte prevedibili. Le esportazioni italiane in USA, infatti, riguardano prevalentemente settori economici del Made in Italy, come Moda ed Agroalimentare. Le potenziali perdite in questi settori, che costituiscono pilastri portanti del PIL italiano, potranno intaccare non solo il fatturato dei maggiori brand nazionali, ma molto di più la miriade di micro e piccole aziende enogastronomiche che costituiscono lo zoccolo duro del settore.
E siccome tutto parte da lì, da quella lettera, vediamo nel dettaglio Trump cosa ci dice, come lo dice e, soprattutto, cosa lascia intendere tra le righe.

Poche, semplici (minacciose) parole
La prima considerazione che salta all’occhio è lo stile della lettera. Anche da una lingua pratica come l’inglese ci si sarebbe aspettato qualcosa di meglio, soprattutto provenendo da un capo di Stato e trattandosi di argomenti di grande rilevanza economica. Invece niente: ci sono solo frasi elementari, alcuni slogan pubblicitari, niente approfondimenti tecnici o motivazioni ragionate. Nessuna variazione rispetto a stile ed argomenti già espressi altrove più volte, corredati di frasi vagamente minatorie o inviti fintamente bonari.
Riepiloghiamo i concetti principali:
Gli USA sono la prima economia mondiale, il Paese più grande (come potenza, come rilevanza economica, ma soprattutto come magnificenza) e, bonariamente, hanno deciso di continuare a commerciare con l’Unione Europea, anche se il disavanzo commerciale con quest’ultima costituisce una minaccia la sicurezza nazionale. Questo presupposto costituisce il fondamentale prologo della lettera, il concetto che motiva e giustifica tutto quanto viene svolto dopo.
Nonostante la storica amicizia (e l’enunciato del punto precedente), tra USA e Unione Europea c’è uno sbilancio commerciale a favore di quest’ultima, che deve essere immediatamente eliminato. Tra le righe Trump sostiene (nemmeno troppo velatamente) che l’UE ha messo in atto comportamenti scorretti, non rispettosi di una reciprocità economica nei confronti degli USA.
Per risolvere rapidamente e con soddisfazione di tutti la controversia, l’Unione Europea può tranquillamente trasferire le proprie produzioni negli Stati Uniti, in modo da non subire dazi e trovare un ambiente estremamente favorevole allo sviluppo imprenditoriale delle proprie aziende.
Se invece l’UE dovesse controbattere all’imposizione dei nuovi dazi
, imponendone a sua volta sull’importazione di prodotti statunitensi, tale percentuale verrà aggiunta specularmente ai dazi USA già in essere (es: 12% imposto da UE su prodotto USA, dazio totale per prodotto UE importato in USA: 12+30=45%).
In ogni caso, nulla di irreparabile è ancora successo. Se l’Unione Europea comprenderà la situazione, e si mostrerà collaborativa, tutto si sistemerà prima dell’entrata in vigore dei dazi. Gli USA sono un grande Paese, e possono modificare le tariffe, in alto o in basso, in base a come si comporterà l’UE. In ogni caso, comunque vada sarà un successo, perché nessuno potrà mai rimanere deluso dagli Stati Uniti (“You will never be disappointed with the United States of America”).

Torniamo alla realtà
Al di là della retorica e delle frasi ad effetto, cerchiamo di capire cosa c’è di solido nella lettera di Trump e quali espedienti ha usato per partire in vantaggio con l’Unione Europea.
Le bilance commerciali devono stare in pareggio?
No. Nessuna regola economica, politica e (perfino) etica impone (e non ha mai imposto) parità ed equilibrio della bilancia commerciale tra soggetti (figuriamoci tra Paesi). Il concetto stesso non è altro che un indicatore statistico come tanti altri, che si limita a sintetizzare, aggregando per macroaree, un’enormità di dati economici e variabili di ogni tipo. Certo, ogni Paese esportatore aspira ad avere (e spesso cerca soluzioni per ottenerla) una bilancia commerciale positiva, in cui vende molto a prezzi alti e compra poco a prezzi bassi, o almeno neutra. È appunto una volontà, un’aspirazione quasi sempre teorica, perché gli scambi commerciali esistono da sempre e sono l’effetto della diversità, non solo orogeografica ma anche culturale e produttiva, di ogni singolo Paese nel Mondo.
Ma sono soldi o tonnellate?
Il saldo di una bilancia commerciale cambia a seconda del criterio di valutazione (i dati si prestano a molte interpretazioni). Ad esempio, a parità di quantità di merci scambiate, la bilancia commerciale risulterà positiva o negativa a seconda dei prezzi a cui vengono scmbiate. In questo caso specifico, a Trump interessa il valore economico scambiato, perché gli USA importano prodotti finiti (più costosi) ed esportano beni primari (che costano molto poco). Per farla breve (e facile): gli Statio Uniti comprano in UE pagando tanto e vendono all’UE incassando poco.
Perché Trump si fissa su questo argomento?
Perché se ne serve come motivazione principale per giustificare, sia l’imposizione di dazi, sia il metodo con cui lo sta facendo. Trump dichiara di considerare, infatti, il disavanzo commerciale con l’UE come una minaccia alla sicurezza nazionale (This deficit is a major threat to our economy and, indeed, our national security!), che quindi va eliminata con un’azione rapida e diretta da parte del Presidente.

Trump tornerà indietro?
Anche senza possedere la sfera di cristallo, è chiaro che i dazi alla fine ci saranno. Forse (se ci dice bene) non al 30%, ma sicuramente nulla sarà come prima. La strategia di Trump, già usata nei mesi scorsi in altri casi, è chiara: lanciare provvedimenti con dazi in percentuali mirabolanti, per poi dare dei termini per negoziare e, alla fine, ottenere accordi sostenibili per entrambe le parti. Però, cosa succederà con l’Unione Europea, che non è un singolo Stato sovrano, e come evolveranno i negoziati, invece, sarà tutto da vedere.
Le aziende statunitensi avranno vantaggi dai dazi?
Probabilmente no, perché gran parte della catena del valore dei prodotti importati dall’UE (dall’Italia soprattutto) si sviluppa nel mercato USA. Sono gli importatori, i grossisti, le catene di negozi, i ristoranti, etc. sul territorio americano che usano le merci importate per il loro business e che le vendono ai clienti finali. Saranno loro a pagare per primi le conseguenze della mancanza di disponibilità, o dei prezzi vertiginosamente alti, di materie prime usate correntemente e merci di cui non possono fare a meno. Certo, poi in qualche modo si troveranno delle alternative, sia in termini di prezzo che di qualità, e lì il problema diventerà devastante per le aziende italiane, che vedranno crollare gli ordini.

A quel punto, tutto il Made in Italy che insaporiva la vita dei nostri amici americani, dovrà trovare nuovi mercati, per intraprendere nuovi viaggi.
Ma questa è un’altra storia, che vi racconterò nei prossimi giorni.